sabato 26 maggio 2012

Durs Grünbein, il muro è un ricordo. O forse un mito

Di fronte alla mole di "Ricostruzioni. Nuovi poeti di Berlino", l’importante antologia sui "novissimi" (anche di anni cinquanta all’anagrafe) che si sono raccolti nel calderone berlinese negli ultimi anni, ci è venuto in mente Durs Grünbein, che non può far parte della raccolta perché lo spazio che si è creato nel tempo è tutto speciale. E’ colui che si è conquistato il posto di cantore delle Germanie al trapasso, coltivando l’ambizione, nota Italo Testa sull’ultimo numero di "alfabeta", di diventare in pratica una sorta di cantore rappresentativo dello Stato (dei due Stati) diviso e di quello riunificato. Conosciamo Grünbein verseggiare in italiano grazie all’intermediazione di Anna Maria Carpi, responsabile, per i tipi di Einaudi, di tre raccolte del poeta nato nella Germani Est, a Dresda, nel 1962. "A metà partita" è una silloge del 1999, comprendente una selezione delle prime cose, mentre "Della neve ovvero Cartesio in Germania" del 2003 - 2005 in traduzione – è una sorta di grande poema in alessandrini dedicato al noto filosofo, la cui figura è correlata al "bianco", come si vedrà brevemente più avanti, nelle sue declinazioni e nei suoi significati. La novità "italiana" per Grünbein e per noi, in questi ultimi mesi, è rappresentata dalle "Strofe per dopodomani e altre poesie" (pp. 207, euro 12,50), che fanno il punto sullo stato dei lavori recenti. Pare che la critica tedesca, ci informa il succitato Testa, abbia iniziato a manifestare qualche dissenso o, meglio, "insofferenza", per la "compiaciuta erudizione, il pathos della distanza e il décor neo-antico dei nuovi versi". Il che a Testa, tutto sommato non dispiacerebbe, visto che permette di rilevare "l’audacia e di misurare il prezzo della calcolata ‘inattualità’ nell’evoluzione più recente della poetica dell’autore". Grünbein, insomma – ma non certo in tutte le liriche di "Strofe per dopodomani", ci pare – mirerebbe ad una sorta di spazio "aere perennius" che, preso nelle sue estreme conseguenze, potrebbe anche portarlo ad un isolamento dorato (o bronzeo). In effetti, quello della frizione fra individualità e dato realistico, sociale, è un punto che l’autore avverte come centrale nel suo lavoro. In una intervista con lo stesso Testa risalente al 2000, Grünbein pare assai attento a questo dualismo che poi potrebbe non essere in effetti tale: "Credo che naturalmente la poesia sia ancora il più intimo dialogo dell’uomo con se stesso. Però qui non è del tutto chiaro chi sia questo ‘sé’. Nel mio caso può trattarsi di un dialogo con se stessi sull’intossicazione: il problema è sempre scoprire sino a che punto si è contaminati dal tempo, dall’ambiente, soprattutto dalle idee del tempo. In questa misura è corretta la tesi per cui il soggetto non è mai puro. E dovremmo fermarci qui, perché non ci è dato fare molti passi avanti. Ma questo è un punto molto importante. Non vi è affatto quella contrapposizione ideale per cui da un lato starebbero la società, la modernità, lo spirito del tempo, e dall’altro starei io, in quanto singolo, con la mia verità. Questa non è una verità ma solo uno strumento". Insomma, è da postularsi un particolare processo, diremo osmotico, per cui, comunque, il poeta sarebbe portatore di una visione in cui ciò che è fuori, nonostante ogni tentativo di tenere le cose del mondo lontane, finirebbe col manifestarsi inevitabilmente? Grünbein è anche l’autore di un monumentale poema quasi teatralizzato, "Della neve", dedicato a Cartesio. "A me ci vuole l’ombra che contorna – dice il pensatore al servo-aiutante Gillot – Una marmotta sono/che si rintana, a luce di candela./Mi spaventa la neve, questo lenzuolo funebre,/come bocca che sbava, o come occhi rovesci./Il nuvolo mi strappa dalla tana,/non il ghiacciaio sfavillante". Dunque, "Prendi nota, Gillot: nulla disturba il meditare tanto/quanto un chiarore che va dritto agli occhi". "L’inverno – commenta la Carpi in una nota alla traduzione – è di certo anche una metafora della condizione moderna, che s’inaugura quasi quattro secoli fa con la separazione cartesiana fra res cogitans e res extensa, l’io pensante e le cose che si offrono ai sensi. Muovendo dalla ‘tabula rasa’ dell’inverno, i sentieri sublimi della conoscenza razionale portano al progressivo raffreddarsi dei rapporti dell’uomo con se stesso e con i suoi simili". E non è dato ancora comprendere quanto "Della neve" agisca come metafora del modo di porsi rispetto al reale, ad una cosa esterne che preme, oltretutto con insistenza. Da una parte, nella scena iniziale del poema, domina l’esultanza "pittorica" di Gillot che tenta di svegliare il padrone: "Fin dove arriva l’occhio è bianca la pianura,/è tutta un cono bianco. Sono gli alberi/ che il grande arrangiatore con invernale mano ha ingentilito". Lo scontro, insomma, è fra "der große Arrangeur" e qualche forma di io autentica, priva di scorie, l’io che Cartesio insegue. "Non mi serve l’esterno – replica – Ho da guardarmi dentro". E’ ricerca vana, utopia? Del resto è proprio il poeta a precisare che "è corretta la tesi per cui il soggetto non è mai puro". Neve o rane schiacciate, finite sotto le ruote: l’evento naturale o la mini-gigantesca catastrofe non sono mai eliminabili. "Come crocifissa giaceva questa rana/schiacciata sull’asfalto ardente/della provinciale". E ancora: "l’anfibio delle più antiche ere della terra/finito (…)". Per cui: "Non c’è risurrezione altro che in larve/di mosche – già mature domani". Cui fa seguito la domanda finale: "Per dove mai può fuoriuscire il sogno?". Questo si chiedeva un Grünbein più giovane, cui "der große Arrangeur" aveva riservato, al posto della neve, comunque fastidiosa, un piccolo teatrino dell’orrore e della corruttela che si agita nel mondo sublunare, per dirla neoplatonicamente. Solo per tracce sparse si può congetturare che la ricerca del "sogno" porti – vista la sgradevolezza dell’esterno – all’introiezione. Che è un falso rifugio, tuttavia. Nell’intervista di cui sopra, il poeta è abbastanza chiaro in merito. Alla domanda se la sua predilezione vada verso una lirica "monologica", replica così: "Da molti anni osservo in me stesso un movimento verso una dimensione dialogica. Ma credo che la poesia, quando si inizia a scrivere, cominci probabilmente da un monologo. Già l’espressione ‘poesie monologiche’ è l’indizio che si tratta di una posizione provvisoria, che la condizione propria di tale stadio debba essere superata. Già da diversi anni molte mie poesie, più o meno apertamente, si rivolgono a un partner dialogico, talvolta direttamente a conoscenti, talvolta ad autori morti, talvolta, e questo è il lato più segreto, a sconosciuti nel futuro. Così assume spessore anche l’aspetto drammatico all’interno della poesia, perché solo per questa via può crescere la tensione. Credo che alla poesia lirica sia inerente la presenza di un interlocutore: anche nel più amaro colloquio con se stessi vi è sempre un interlocutore, l’altro di se stessi, o il Dio perduto, come sempre. Vi è sempre qualcuno con cui si dialoga e mai un monologo puro. Vi sono, naturalmente, possibilità di aprire la poesia, una sensibilità per la moltiplicazione della propria voce che è in atto già da tempo nella mia opera. Poesie di ruolo, dove parlo con la voce di qualcuno totalmente diverso, per esempio un antico romano". Non dovrebbero far parte della dissociazione "di ruolo", nelle ultime "Strofe per dopodomani", episodi come "Congedo dalla Quinta era", ove "le aiuole del parco somigliavano ai congressi di partito", sebbene Testa, nella citata recensione per "alfabeta", parli di "mitologia" anche per quanto concerne l’era Ddr. Più evidente è la volontà di una lirica "anticata" in versi di tal fatta: "Si staccò la corazza dal cavaliere esausto/del suo star nella danza macabra affrescata". Sebbene, nel medesimo luogo, l’affastellarsi delle visioni segni l’animazione rispetto alla visione data per sempre: "Nel sonno quante posizioni prende/ognuno? Feto, crocifisso, Laocoonte, o Shiva?". Il che è un po’ come dire che la res cogitans, per quanto reclami d’esser lasciata indisturbata, è assai precisa anche nella cronaca della banalità: "La raccolta rifiuti è puntuale".

Nessun commento:

Posta un commento