martedì 29 maggio 2012

iPad, ovvero la rivincita della scrittura

Non ci si lasci ingannare dall’allegra e spiritosa copertina di "Anima e iPad" (e neanche dal titolo, ad essere sinceri), penultimo libro di Maurizio Ferraris (Guanda, pp. 185, euro 16,50): non è un testo semplicissimo e bonaccione, come i tanti che girano in questi ultimi tempi, consacrati più o meno alle meraviglie e alle ricadute planetarie, ma anche spesso personali, della diffusione delle tecnologie di massa: vedi iPod, iPhone, iPad, la grande triade in cui pare essersi articolata, cristallizzandosi, la rete della comunicazione globale. Anzi, dalla triade sarà bene escludere proprio il primo dio in ordine di tempo, cioè l’iPod, piuttosto segnale cupo derivante dalla tragedia dell’11-09-01, il decennale del quale è caduto in questi giorni e di cui si sono celebrate (dell’iPod, intendiamo) le ritrovate qualità (negative, in sostanza) di incomunicabilità e isolamento. Crolla New York in maniera metonìmica (le Torri sono la pars pro toto): e nella stessa maniera (metonìmica) è crollato e viene sfidato l’Occidente. E Steve Jobs, per tutta risposta, a poche settimane di distanza dall’attentato, ti tira fuori il successore totalmente digitale del walkman, l’iPod, ponendo così fine alla pratica dell’ascolto collettivo. Tutti ben chiusi in noi col nostro bagaglio di canzoni contenute in tasca, muniti di cuffie, a fare esperienza uditiva individuale. Nessuna gioia collettiva, dunque solo un ripiegamento, una ferita che deve rimanere aperta e non essere rimpiazzata da nuove costruzioni ambiziose, poiché la ferita è memoria, come invocava anche l’ultimo Hillman sempre più riguardoso a sacrificare agli dei del luogo. Resta l’iPhone, un po’ telefono un po’ bussola un poco computerino, se non fosse che Steve Jobs, ai primi posti nelle vendite in libreria in pratica dal giorno della sua morte (ci riferiamo alla recente instant-biografia di Isaacson, edita da noi per Mondadori, libro cui giusto mancava la scomparsa dell’eroe), prima della dipartita volle ingrandire il telefono cellulare, ma non troppo, imponendo al consumo collettivo la geniale tavoletta chiamata iPad.


Socrate e Platone

E’ da questo oggetto che parte Ferraris, e lo fa in maniera fintamente spiritosa o scherzosa. L’autore è un filosofo, ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Torino, editorialista di prim’ordine e nome di fama internazionale, condensatore, fra le altre cose, di Socrate, Platone e Aristotele in un volumetto recentissimo che si accompagnava con "la Repubblica", presto andata esaurita grazie al supplemento di cui sopra. Risultato brillante di vendite che indica come la fame di sapienza, di filosofia, sia elevata presso il lettore italiano, che sarà in ogni caso chiamato a sfida interpretativa più elevata col volume di Ferraris dedicato all’iPod. E non solo a quella sfida, ma a una più vasta visione concepita con l’ossessione della scrittura (che pare appunto l’ossessione di Ferraris), della traccia, fino al paradosso messo alla dura prova della dimostrazione. "E se l’automa fosse lo specchio dell’anima?", recita il sottotitolo. E ancora ci sfugge l’intreccio dei collegamenti. "L’anima assomiglia a un libro, in cui si accumulano iscrizioni, memorie, immagini. Un libro animato, insomma, un ‘animated book’, un a-book potremmo dire. Ma tanto vale, allora, dire, per il momento, un iPad". Visto che "la tabula è la condizione di possibilità del pensiero" (ove "possibilità" indica tutto e niente). Ma "senza quella tabula non c’è spirito, non c’è pensiero, non c’è mente". Ferraris, dall’alto della sua propria memoria, o delle appendici che da memoria sua propria fungono (i libri, certo, ma magari anche ciò che trova scritto nel suo iPad, grande metafora al momento tecnologicamente avanzata per ciò che oggi è possibile - altri sostituti giungeranno, si suppone) è in grado di citare molti filosofi.


Kant

Non viene ultimo Kant, "forse l’autore che si è maggiormente impegnato nella ricerca di una immaginazione totalmente produttiva, e questo per ragioni di coerenza concettuale del suo sistema". E dunque un po’ di ripasso delle cose liceali sarà pur d’obbligo, altrimenti le connessioni del discorso dimostrativo di Ferraris svaniscono e rendono poco chiaro l’impianto del saggio. Insomma, seguendo Ferraris, nella filsofia kantiana - volendo proprio farla corta - "bisogna che gli schemi vengano generati non da una immaginazione riproduttiva, bensì da una immaginazione produttiva". L’immaginazione produttiva, per così dire, è una sorta di autentica forza creatrice, che agisce a partire non certo dal già assimilato, dal già saputo. Ora, essendo Ferraris ossessionato dalla scrittura, dal documento, in sostanza dalla riproduzione (l’iPad è una centrale di documenti, una centrale riproduttiva estesa globalmente), nota che anche Kant, volendo affrontare, per così dire, il tema di una scaturigine pura, che non si limiti alla replica del già scritto, si comporta in modo evasivo, dato che, "quando si parla della immaginazione produttiva, ossia della immaginazione pura, che non avrebbe niente a che fare con la memoria, si entra nel mistero assoluto, e tutto quello che si riesce a dire, anche quando a parlare è un grandissimo filosofo, è che questa immaginazione produttiva è diversa da quella riprdoduttiva". E parliamo, per l’appunto, di Kant, che non esce dall’imbarazzo (suo, nostro?), ma si limita a dire cosa "non" sia l’immaginazione pura, produttiva.


Acqua

In questo snodo, collocato alle pagine 49 - 50 del suo stimolante saggio, Ferraris porta molta acqua al mulino del suo impianto. Vuole dirci, insomma, che "non si riesce mai a identificare uno spirito radicalmente separato dalla lettera, dalla ritenzione, dalla ripetizione". Per citare Roman Jakobson, quello dei "Saggi" Feltrinelli, "il parlante, come regola generale, è solo un utente e non un creatore di parole". Se poi andiamo anche a guardare, sempre di Ferraris, il suo libretto su Socrate, Platone e Aristotele, quello per "Repubblica" uscito sabato scorso, avremo una ulteriore riprova di ciò che al nostro professore di filosofia interessa dimostrare. Un esempio: "Quando definisce il funzionamento della mente dell’uomo, Platone ricorre alla metafora del libro, quindi pensa la mente sulla base del modello della scrittura". E, ancora, quando si dice – e qui la connessione è esplicita - che "abbiamo un Platone filosofo dell’iPad, del computer, del telefonino e di internet". E tutto questo esponendo l’ideologia platonica, non certo favorevole alla scrittura che in realtà "rovina la memoria". Insomma, viste le basi, non stupisce certo che Ferraris abbia dato alle stampe "Anima e iPad". L’ultima invenzione di massa di cui l’umanità sembrerebbe servirsi - in totale incoscienza del passato, si potrebbe aggiungere - è l’iPad, in sostanza strumento che si basa sulla "rielaborazione delle iscrizioni che ci portiamo dentro" (dal volume edito da Guanda, come il resto delle citazioni che seguiranno). Detto in altri termini (il luogo è lo stesso), "pensare, avere un’anima, possedere uno spirito - tutte le figure della nostra interna animazione - significano essenzialmente, ricordare, ossia ricorrere alle iscrizioni che si depongono sulla tabula che abbiamo in testa". O sull’iPad che abbiamo davanti. L’iPad è l’ultima delle tabulae nella storia dell’umanità. Il suo successo, la sua diffusione, corrisponderebbero certamente ad un bisogno, ad un atteggiamento secolare, che si perde agli inizi della storia.


Chiarezza

Ma è con Kant specialmente che la posizione di Ferraris diventa più chiara. O, meglio, è partendo dall’elusività di Kant che Ferraris colloca all’origine di tutto la scrittura, anzi, la "registrazione" della scrittura. L’immaginazione produttiva è inspiegabile, in sostanza. E’ "arte nascosta" (così nella "Ragion pura"), difficile da esibire "patentemente" (sempre dalla "Ragion pura"). Dalla piega mai spiegata (ma in certo modo scossa, spiegazzata) Ferraris ricava una legge parimenti "patentemente" difficile da illustrare nella sua luminosità evidente. Crediamogli piuttosto quando sostiene la "lettera" quale "condizione di possibilità dello spirito". L’iPad è solo l’ultima delle materializzazioni scrittorie; con l’iPad la scrittura entra nell’era digitale. La scrittura, si badi bene, poiché di questo si parla in un regno contemporaneo che sembrava votato al visivo puro, all’immagine. Saremmo, dunque, tutti scribi, disperatamente scribi, ineluttabilmente tali, fino alla costrizione, aleggiando l’ipotesi che gli scribi che siamo possano finanche essere automi. "La spontaneità e la creatività che avvertiamo in noi, il fatto di possedere dei contenuti mentali, delle idee, e di riferirci a qualcosa nel mondo, non sono prestazioni che confliggano con la possibilità che l’origine di tutto questo vada ricercata in registrazioni e iscrizioni". E ancora, tanto per citare una frase ad effetto: "Siamo automi e non lo sappiamo – e del resto come potremmo saperlo, dal momento che siamo automi?". Decade il problema fittizio di una qualche anima albergante chissà dove (dualismi e dintorni); ma se ne va anche – poiché ritorna scrittura – l’idea di un dio. L’ultimo Freud fa derivare il dio di Mosé dall’egizio Aton, che diviene Adonai, che diviene Bibbia, libro sacro e trasportabile e, con salto comprensibile, anche iPad, mummia quintessenziale e "meno impegnativa" delle mummie vere, registrazione, traccia. E’ ciò che resta ed è ciò che era (nemmeno un’intelligenza superiore come quella di Kant sa dirne di più).

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