domenica 20 maggio 2012

Peter Handke: in attesa di aver letto "La notte della Morava", qualche nota su "La montagna di sale", suo romanzo del 2011



Nell’Europa dell’ottovolante finanziario - ormai preoccupazione giornaliera delle vacanze, per chi in vacanza è andato facendo finta di niente (si era nel settembre 2011, con una crisi non ancora rivelatasi – o pubblicamente rivelata) – ove si colloca l’Europa di Peter Handke, in pratica uno dei pochi autori in possesso di inconscio e coscienza europei, come si leggeva sul "Riformista" in occasione della recensione dell’ultimo libro del noto austriaco, "La montagna di sale" (Garzanti, pp. 103, euro 15,00)? L’Europa di Handke è prima e dopo l’Europa di oggi. Il suo centro (che per Handke si situa in una Mitteleuropa assai screziata di Est) è il sottosuolo, nel fondo di una miniera di sale che si colloca in basso, fino alle viscere della terra. E’ l’ultima delle miniere di sale che si sviluppano in verticale, visto che per tutte le altre si deve parlare di estensione in orizzontale. E’ l’Europa della discesa classica agli inferi di ovvio richiamo faustiano (ma anche un poco cinematografico, in fondo), però senza Madri onnipotenti latrici di messaggi, salvifici o meno. Al posto delle dee, che bene o male un tempo facevano da fondamenta, una "pastora" riformata che denuncia lo scandalo della scomparsa dei bambini, anzi di un bimbo solo, senza che per questo il romanzo (di questo si tratta, anche se forse allo sguardo d’oggi subito non parrebbe) manchi di happy ending buttata lì, ultima scheda fra le schede, tassello conclusivo di una mosaico di "stanze", "lasse". Quasi appunto schede che fratturano/compongono la narrazione orizzontale, demandando al ricongiungersi in sé della particola narrativa l’ipotetico compito di sondare in profondità, in questo potendosi intuire una "mostruosa" costruzione cattedralica di corrispondenze micro/macro che in ogni caso non viene denunciata pienamente ma che in qualche modo si è invogliati a percepire. Lo scheletro, insomma, che nulla toglie al continuum narrativo – questo sì, archetipico – del viaggio. Per il recensore di "Die Zeit" si spiega dunque la dimensione di "racconto epico sui temi della partenza, dello smarrimento, della ricerca e del ritorno". Il che è forse tuttavia un poco troppo sintetizzare la materia in foggia squadrata, mirando a collezionare il fascio tematico del diario di bordo: con la domanda seguente, vale a dire: da chi sarebbe tenuto questo diario? O meglio: chi guarda il tutto, mettendo insieme, incollando carte e tasselli, stanze e lasse? Difficile la risposta, che più che altro pare intenzionata a non esserci. "Anche a me lei ha fatto paura, fa paura. Ma vorrei affrontarla". Inizio con promessa di femme fatale, personaggio mantenuto nel suo svolgersi e insieme tradito, se di tradimento nel caso si può mai parlare, visto che costei, la cantante, si dà nel suo svanire in materia altra. E’ di sicuro personaggio, lo si avverte, ma mai centrale tanto da calamitare l’attenzione tutta. Sarà magari il paesaggio, allora, a fare da attrattore. "La montagna di sale e l’insediamento nella prima luce del mattino. Alcuni camini fumanti, pochi. Assenza quasi totale di persone, eccetto la figura del custode, in divisa da lavoro, con un berretto a visiera, nella piccola portineria". Handke non centellina la didascalia, il cinematografo, la sceneggiatura. Che sia per l’ennesima volta prova provata di "école du regard", scuola instabile e ormai vecchia, dove il nostro capitò in giovinezza, fu inscritto magari a forza? Sarà che ormai parlare di Handke è parlare di poeta laureato, lontano ad esempio anni luce dallo sperimentalismo perfettissimo di un Robbe-Grillett tempestoso e precisissimo già agli esordi. Handke pur concede speranze al sentimento, in questo, magistralmente, illudendo, seminando venature di pietas e nascondendo la mano che volle suscitare emozioni. E il décor stesso si integra nel sistema di una descrizione che non cede mai alla fotografia, al rilevamento puro del dato. "La camera inizialmente ben illuminata, dove lei poi si ritrova sola, assomiglia alla stanza a baldacchino della notte precedente, nel luogo di residenza della madre". Ove però tutto assomiglia a tutto, allora, configurandosi il picco emotivo, ma piallando lo scrittore le asperità con una messa in scena stilistica tutta sua, ben tenuta sotto controllo, del resto, dalla traduzione dal tedesco degli allievi della scuola di specializzazione di Torino coordinati da Claudio Groff, cui Handke certo suona di famiglia.


Cantante, forse badante

E chissà se poi la viaggiatrice, la cantante, dopo aver compiuto un viaggio in pullman come una badante dell’Est qualsiasi spersa per le nostre contrade e città, aver contattato la madre che svanisce in un finale espressionista ("Costei, sempre più lontana, al piano di sopra passa da una stanza illuminata all’altra, con le braccia levate simili a moncherini"), esser finalmente (ma solo perché si deve onorare l’idea di "finale", di "fine") approdata nella zona della montagna/miniera di sale, cerchi una qualche triangolazione familiare con l’uomo della miniera, l’uomo del sale, provvisto di figlio/servo/studente ("Non ci sei, caro papà. Non ci sei più. E’ da tantissimo tempo che non ci sei più"). Fatto sta che la pantomima teatrale, con cambiamento d’abito per la cena (ecco "l’uomo mentre ritorna, cambiato d’abito per la loro serata, reggendo sul braccio un vestito consono anche per lei"), si risolve in seguito nella discesa agli inferi, negli strati più bassi della miniera. Intorno a loro, al villaggio di minatori tutti venuti dall’Est, si starebbe svolgendo anche una sorta di nuova guerra mondiale, evidentemente non così palese, ma il micro della dimensione paesana obbliga ai drammi quotidiani, spinge la pastora alle prediche (un aereo militare tuona intanto sopra la chiesa) e invita alle feste, anche quelle del giorno dopo: "E non c’è niente di meglio degli avanzi".


Finalmente domenica

Intanto, sul fondo, il dramma della purificazione, tutta alla Handke, si sarebbe compiuto: non resta che, previo nuovo cambio d’abito, avviarsi alle celebrazioni della domenica. "Alle sue ultime frasi era entrato il padre, con l’abito della festa, come forse un tempo in un altro paese; pronto per andare in chiesa. Del resto anche suo figlio era già in parte vestito nello stesso modo. E adesso, aiutato dall’estranea, s’infilò le maniche della giacca nera da festa, che lo fece poi sembrare quasi adulto". Metamorfosi minime, che la lente di Handke ingigantisce. Narrazione, però, tutt’altro che minima, anche se l’odissea presunta è raccolta in un centinaio di preziosissime pagine. Che devono certo avere in qualche modo "turbato" (il che sarebbe già merito non irrilevante) i recensori di quello che a distanza ravvicinata, dunque dopo aver fatto decantare le impressioni, ci pare proprio (ha ragione il risvolto di copertina) un piccolo gioiello. Lo strano è che il recensore di turno in genere ha posto quasi le mani avanti, facendo presente che di romanzo "sui generis" si sarebbe trattato. Così ragionando, forse (è solo un'ipotesi), è come si valutasse il lettore quale infante, che si presume in modo disarmante disabituato alla pur minima invenzione letteraria, quasi una sorta di bambino cui bisogna raccontarla giusta se no si infastidisce e chiude il libro. Strano, negli anni Settanta, ma forse anche Ottanta, eravamo abituati ad una presenza maggiore dello sperimentalismo in narrativa. Insomma, lo sperimentalismo soft ed elegantissimo di Handke (in soldoni: lo stile suo, ormai "neoclassico contemporaneo") ha bisogno dell’etichetta, delle istruzioni per l’uso? Magari ha ragione Gabriele Pedullà che, sul domenicale del "24 Ore", scriveva che, da qualche tempo, "l’affermazione che lo stile non ha alcuna importanza per giudicare del valore di un romanzo ricorre sempre più spesso nelle recensioni di critici autorevoli". Nel Novecento, insomma, si tifava – ed è vero – per un autore o per l’altro. Soprattutto per lo stile di un autore rispetto a quello di un rivale. Oggi, in piena Terza Guerra Mondiale (ma sì, ha ragione Handke), un autore settantenne notissimo deve andare ancora in giro con la pecetta sulla quale è scritto in che modo il capo di vestiario va lavato (leggi: digerito)?

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