lunedì 21 maggio 2012

Gozzi: non fu solo il nemico numero uno di Goldoni. Una recente pubblicazione composta da inediti. E che inediti!

Il mitico Settecento teatrale veneziano, il regno dello splendore e dell’intrallazzo, del professionista scrittore di commedie che si butta senza paracadute alcuno sul mercato, del nobiluomo letterato e parimenti scaltro, peraltro immerso nel fluire delle cose, che guarda con occhio malevolo chi troppo sia compromesso nella gara dello share dell’epoca, del gradimento. Occhio malevolo, e parimenti compromesso, astioso finanche, ma penna sciolta, ed estrema confidenza con le compagnie teatrali, vere famiglie ove le parti si spostavano di padre in figlio, ove la giovane, ormai cresciuta e donna fatta, non faceva più la parte della fanciulla e viene promossa – e non lo vuole – al rango della madre e non più della figlia. Ma l’età passa per tutti, senza pietà, e l’organismo biologico della compagnia vivente è sottoposto al naturale sviluppo del mondo. E del mercato. E del teatro. Il volume che reca come autore Carlo Gozzi, dal titolo "Commedie in commedia" (Marsilio, pp. 489, euro 24,00), uscito alla fine del 2011, sta avendo una più che meritata diffusione negli ultimi mesi, con relative presentazioni, la più rilevante delle quali a Ca’ Foscari in aprile, con la "goldoniana" Marzia Pieri ad introdurre un volume sul nemico numero uno dell’avvocato Carlo. Parliamo con evidenza di una pubblicazione di livello eccellente che contiene vari inediti, testi fino all’altro giorno del tutto sconosciuti. Dunque, come recita il risvolto di copertina, siamo felicemente costretti "a riaprire il cantiere degli studi gozziani".


Secondo centenario

L’origine dell’operazione di oggi risale al 2006, in occasione del secondo centenario della morte di Carlo Gozzi (1720 – 1806), quando la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia mette a disposizione il Fondo omonimo, ovvero l’archivio familiare rinvenuto nella villa di Pasiano di Pordenone. Si tratta di 9500 carte manoscritte, dalle quali si prospetta l’emersione di vari tesori, oltre ai testi che nel volume di cui trattiamo sono offerti per la cura di Fabio Soldini e Piermario Vescovo. Entrambi, nelle rispettive prefazioni al materiale di "Commedie in commedia", giustamente non nascondono un soddisfatto entusiasmo, vista la qualità degli inediti. Soprattutto risulta evidente alla semplice lettura come il materiale proposto sia in grado di arricchire il panorama del mondo teatrale di quegli anni d’oro, magari nel riferimento insistito alla figura più illustre di quel paesaggio d’uomini, attori, teatri, cioè l’avvocato Goldoni, l’esiliato francese che lascia il grande vuoto in città alla sua dipartita, figura colossale che Gozzi non riuscirà mai fino in fondo a comprendere, né tanto meno amare, armandosi di un disprezzo pieno e tormentoso, finendo in certo modo con l'essere avviluppato da quella scia goldoniana comunque impossibile da ignorare.


La turba

"La turba de’ maledici indiscreta/sostiene ch’io non sia, ma son Poeta./Cambiai mestier parecchi in cinquant’anni;/fui Medico, Assessore, pien d’affanni,/nel Foro non potei rifare i panni,/di dieci lustri diventai Poeta./Per gl’Istrion scenari componeva,/undici lire l’uno li vendeva,/nessuno ancora Poeta mi diceva/e m’era necessario esser Poeta./Col studio mio della madre natura/copiai de’ fatti altrui la spazzatura,/la posi in versi e in prosa alla ventura,/e la chiamai Commedie, e fui Poeta". Gozzi si scaglia contro Goldoni con la solita violenza impietosa, spesso dagli esiti fra il crasso e l’esilarante. Il componimento di cui sopra è "Canto d’un poeta", successivo peraltro al ritratto offerto in "Le gare teatrali", il più importante inedito contenuto nel volume Marsilio, risalente al 1751, dieci anni prima che Gozzi strappasse a Venezia il suo primo grande successo, l’"Amore delle tre melarance". Ne "Le gare" la dimensione è imprescindibilmente quella metateatrale, argomento del resto sviluppato da Goldoni con ferma e convinta teoria, fino a farne una sorta di "dramma didattico" utilissimo alla diffusione del poetare teatrale nuovo, della scrittura riformata: parliamo naturalmente del "Teatro comico", per l’avvocato pietra angolare, più che del palcoscenico, delle edizioni a stampa dei suoi lavori. Nella commedia gozziana la disfida teatrale è tra Pasticcio ossia Goldoni, e Girandola ossia Chiari (l’ex gesuita dalla penna inarrestabile). Come avviene nella composizione poetica che abbiamo citato (intitolata "Canto d’un Poeta"), anche le sorti di Pasticcio sono sempre pericolanti: "Non voglio dirvi poi a quante professioni m’appigliai per vivere e in tutte me la passai infelicemente; vi dirò insino che fui per fare il salta in banco in piazza". E ancora, ricalcando la lezione goldoniana "Mondo" e "Teatro" ma in senso degradato: "Il mondo e il teatro sono i miei libri, e particolarmente i bordelli; oh ne’ bordelli ho imparato assai, vedete, è un gran bel libro quello per far commedia". Mai che Gozzi mostri un briciolo di clemenza. L’età, poi, non lo addolcisce. Il suo astio ha un che di patologico, di irriducibile. Pure nella maturità il caso Goldoni non gli dà pace, ma ormai lo commenta con amarezza. "Se questo scrittore avesse avuto quella colta educazione, che riduce i talenti a rettamente, ed elevatamente pensare, e a leggiadramente scrivere, e si fosse ristretto a un picciolo numero di commedie ben ponderate, egli era assolutamente un genio capace di fare a sé medesimo, e all’Italia nel comico genere un onore immortale". E fin qui il preludio. Ma, considerato tutto, piomba il giudizio negativo, pensoso. Visto che Goldoni "non seppe fare quel buon uso e non ebbe quelle facoltà. Espose sul teatro tutte quelle verità che gli si pararono dinnanzi, ricopiate materialmente e trivialmente, e non imitate dalla natura, né con l’eleganza necessaria ad uno scrittore". Pare incredibile, ma il tormento non passa. Soldini e Vescovo scrivono sì dell’astio e della "polarizzazione antigoldoniana" della tramatura della commedia, ma non trovano un perché. Anche esaminando questo volume a fondo, non si trova una risposta esauriente al quesito, peraltro caratterizzante Gozzi.


Invidia?

Eppure, cosa aveva da invidiare a Goldoni? Gozzi, cresciuto in un ambito teatrale di tipo "nobiliare", socialmente elevato, pare dotato di un talento naturale. Non è giovanissimo quando scrive "Le gare teatrali", 31 anni, ma il brio con cui affronta con tono professionistico la commedia non lascia intravedere carenze. Non è vano esercizio ma commedia scritta per essere rappresentata. Addirittura, virtuosisticamente, ed aumentando i diaframmi metateatrali, fa circolare in scena il copione che il lettore sta leggendo (e lo spettatore a quello in ipotesi assistendo), cioè "Le Gare", una commedia che viene dal Perù. E dunque: "Zanetto: Dal Perù?/Barbino: Sì, si deve dire dal Perù/Zanetto: E’ permesso savér el titolo?/Barbino: Ella è intitolata: Le Gare teatrali". Ha perfettamente ragione Fabio Soldini quando scrive che si tratta di "un gioco di specularità complesso e articolato che fa della ritrovata pièce gozziana un testo rilevante e originale". Oltretutto con un intento principalmente etico (basta con la discordia sociale generata da alcune commedie) come Soldini dimostra agevolmente.


Addio

Tutta la produzione di questo volume viaggia su livelli elevati. Si prenda ad esempio quell’elegante breve pastiche fra sublime e suo opposto, quella pluralità di voci dell’"Addio per Venezia 1763". Significativo il galateo teatrale per stabilire chi debba pronunciare il congedo, nel senso che tutte le donne della compagnia declinano il compito: "ed insomma, fa’ tu, fa’ tu, fa’ tu", come dice Andriana la quale, avendo sempre giocato la parte della serva, si oppone ad essere scelta. Anche una sola battuta è ricca di implicazioni: "La serva!/eh via./Ambasciatrice a un nobile uditorio/la serva s’esporrà? Non è decenza./L’addio dev’esser dato in stil sublime,/da una persona nobile. A voi tocca". Dove privilegio di classe, seppur in chiave ironica, e spiegazione metateatrale (e nel "metateatro" Gozzi s’arrovella, scuotendo la "filosofia" della materia con passione vera) finiscono per coincidere in maniera perfetta; la ritualità sociale diviene ritualità teatrale senza il minimo sforzo. Gozzi, in modo quasi istintivo, si direbbe, ribadisce ostinatamente una sua idea di teatro. Ciò che non rientra nei suoi schemi lo infastidisce. Ed è sorprendentemente sincero nell’esporre il suo pensiero reazionario, conservatore, aristocratico. Gozzi è l’autore delle fiabe: ma cos’è la fiaba? "La gh’è el serio, el ridicolo, el maravegioso, la passion, tutti se fa onor insomma", come precisa Atanagio ne "Le convulsioni", da collocare non negli immediati inizi di carriera ma nei primi anni Sessanta.


Premeditazione

E se un approccio teatrale professionale caratterizza i suoi primi progetti, il Gozzi, ove goldonizzato (e magari nell’assenza fisica del nemico), si mantiene comunque lustro e impeccabile negli anni. La commedia è tutta scritta e già ambientata, un "testo premeditato", con didascalie di scarna essenzialità, badando alla psicologia dei personaggi, che Gozzi schizza con rapido tratto: alle spalle la maschera ma vivo il "carattere" teatrale, in modo preciso, colto, dove si intravede l’autore. Insomma, esattissimo descrittore di uno stato d’animo di una società non solo classista, ma anche con punte di reazione: un Brecht sarebbe ben soddisfatto. E magari non è un caso che abbia scelto la "Turandot" di Gozzi (già amata anche dal mitico Vachtangov nel 1922) e non di Schiller per la sua ultima opera. Certo, si è magari autorizzati a dire che, a confronto di Gozzi, un ricamatore, un restauratore, Goldoni risulta un vero e proprio terremotatore. E del resto, come tutti i grandi commediografi, sa piegare il teatro del suo tempo per crearne un altro, diverso e suo, senza che la lastra della lezione sottostante abbia a svanire totalmente. E anche il tempo e lo spettatore sembrano aver dato ragione più a Goldoni che a Gozzi, autore non certo trascurato, ma in ogni modo molto meno celebre oggi rispetto all’avvocato, in effetti un gigante del teatro universale. E’ probabile che le prossime uscite di inediti (che pur ci sono) riescano ancora a gettare maggiore luce – in pratica abbiamo Gozzi alle prese con la commedia - sulla intelligente, sensibile e sfaccettata arte gozziana. Che, in questo volume, oltre ai testi già citati, è arricchita, come si è visto, dalle "Convulsioni", una immersione straordinaria, in presa diretta, nella realtà delle compagnie, di assoluto valore, come minimo documentario, anche se c’è molto di più. L’altro testo di rilievo, "La cena mal apparecchiata", è un atto unico, nel bel commento del quale Piermario Vescovo mostra la libertà che Gozzi fu in grado di prendere rispetto al modello francese da cui la commedia deriva. In ogni caso, un volume da avere in qualsiasi biblioteca che si rispetti. E anche i più incalliti goldoniani, quelli che considerano Gozzi un personale nemico, saranno estasiati da tale carrellata irresistibile in un’epoca e una città d’oro.

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